Più di due anni fa ho deciso di trasferirmi a Venezia per cominciare il mio primo anno di Università. Le tipicità della città mi attraevano molto, gli innumerevoli ponti, i canali, le calli strette e i bellissimi palazzi antichi. Dopo tre anni però, sono costretta a concludere che sono proprio queste peculiarità che sono state più frustranti da affrontare. Vivere a Venezia per me, una ragazza con disabilità fisica, è spesso un’impresa. L’isola richiede lunghe camminate, una certa resistenza e non esita a metterti alla prova.⠀
È per questo motivo che quando un mese fa ho sentito parlare del progetto FreeMob di Marco Levedianos, un’imbarcazione che gli permette di spostarsi per i canali dell’isola, mi sono interessata all’iniziativa tanto da attivarmi e chiedergli una intervista. Così di seguito vi porto la sua esperienza riguardante l’accessibilità a Venezia.
Intervista a Marco Levedianos
Com’è nato il progetto e da che necessità?
Abito a Venezia dal 2001, ho frequentato qui tutte le scuole elementari, medie e liceo ed ora, università. Nel periodo delle superiori ho avuto diverse difficoltà a spostarmi, frequentavo il liceo Marco Polo e per arrivarci dovevo sempre fare un ponte. Il comune offre un servizio di mobilità, simile ad un’ambulanza con rampa, e mi portavano sia andata che ritorno a scuola. Il problema era che il servizio era su prenotazione, mi pare di una settimana di anticipo, quindi se volevo partecipare a qualche festa dovevo organizzarmi molto prima ed essere sicuro degli orari, per questo poteva essere anche molto limitante.
Il compagno di mia madre fa il falegname, è abile con le mani e ad usare il legno, ed è stato lui a costruire la barca, con una mano da parte di mio zio per i disegni tecnici.
La barca ha risolto almeno il 75% dei problemi di mobilità. Non può andare ovunque e devo adattarmi ai suoi orari lavorativi, però è un sistema molto comodo.
Come mai avete deciso di chiamarlo Freemob?
Il nome Freemob ha una certa ironia. Volevamo ricordare i problemi che ho affrontato con l’IMOB di Venezia. Per farti un esempio: quando era pieno il battello il più delle volte non mi facevano entrare, o spesso dobbiamo lamentarci prima che mettano le rampe in metallo per salire, abbastanza forti da reggere il mio tipo di carrozzina. Il notturno, inoltre, non fa Ca’ Rezzonico, dove dovrei prenderlo io. Perdere il vaporetto significa rimanere bloccato qui. Anche per questo motivo è nata l’idea della barca.
Venezia negli anni ha tentato comunque di attuare programmi di accessibilità, secondo te dal 2001 a oggi c’è stato un miglioramento?
Sì, c’è stato un miglioramento. Esiste un gruppo (la PEBA) che si sta applicando per abbattere le barriere architettoniche a Venezia, mettendo rampe e creando percorsi accessibili. Si vuole almeno cercare di collegare il più possibile i vari punti di interesse e le università. Ovviamente non tutto è possibile, molti ponti sono difficili da rampare e le critiche della popolazione di Venezia non mancano mai, soprattutto per quanto riguarda il mantenimento della storicità della città.
In che modo l’acqua alta influisce sulla tua mobilità?
A casa mia c’è l’ascensore però con l’ultima acqua alta si è salvato per miracolo. L’alta marea è un grande problema per le persone in carrozzina, perché è difficile salire sulle passarelle. Nel mio caso le devo fare togliere giusto il tempo per passare, ma solitamente sto a casa, dato che non ha senso muovermi. In questa zona (San Barnaba) solitamente non ce n’è troppa, però dopo i 100-110 m previsti devono mettere le passerelle davanti ai pontili e Ca’ Rezzonico va sotto, quindi non posso muovermi.
Se dovessi dare dei suggerimenti per migliorare l’accessibilità di Venezia, cosa diresti?
Personalmente, proprio detto banalmente, mi sarebbe utile una rampa che colleghi qua (San Barnaba) a Santa Margherita. Per mia fortuna e un po’ anche sfortuna, vivo in una zona centralissima, sia per quanto riguarda la “movida” sia per quanto riguarda l’università. Studiando Giapponese, frequento la zona di San Basilio e Ca’ Foscari Zattere, ma nonostante abiti li vicino, sono costretto a prendere il vaporetto per andare, dato che non c’è una strada agibile che mi collega direttamente. Questo, se dovessi rispondere secondo la mia esperienza personale, ma se rispondessi in quanto disabile, secondo me c’è poco collegamento fra l’ente pubblico e i singoli.
A questo potrei un po’ anche rispondermi da solo, ogni disabilità è diversa e così anche la difficoltà che ognuno di noi riscontra ad attraversare un ponte, ad esempio.
In ogni caso, oltre alle rampe, sicuramente ci dovrebbe essere più comunicazione.
Personalmente, io preferisco sempre trovare una soluzione nel territorio piuttosto che creare sedie a rotelle costosissime che pochi si possono permettere.
Ciò che hai detto è molto giusto, non si ci può comprare una carrozzina che fa i ponti. Io l’ho fatto, è costata tanto, ma è servita a poco niente. I ponti sono tutti diversi e la sedia a rotelle fatica ad adattarsi. Bisognerebbe almeno rendere accessibili i percorsi per le aree più importanti, che non siano per forza l’ospedale o San Marco ma anche… Santa Margherita magari. Un ragazzo di 20 anni potrebbe voler andare a bere qualcosa con gli amici, anche quella è vita no?
Secondo te è una cosa che può fare l’università Ca’ Foscari? Che comunque ha il teatro a Santa Margherita.
Domanda scomoda. Due o tre anni fa avevo il problema dell’alta marea, per un lungo periodo ci sono state diverse acque alte di fila che non mi permettevano di muovermi. A San Basilio e verso l’Accademia avevano cominciato a togliere le rampe per una questione di bellezza.
In quel periodo mi stavo preparando per gli esami, quindi era un problema. Ho chiesto a Ca’ Foscari una possibile soluzione, un po’ per incitarli a risolvere il problema, essendo un ente abbastanza potente a Venezia. L’ufficio disabilità ha proposto di organizzare lezioni online per me e colloqui online con i professori se ne avessi avuto bisogno, però, l’ho visto un po’ come prendere una porta di servizio alla fine.
Secondo te l’accessibilità per la città di Venezia viene considerata una priorità o qualcosa in terzo e quarto piano?
Secondo me è al terzo o quarto piano. Il “problema” della disabilità guadagnerà più importanza forse fra trent’anni, o più. Io personalmente considero i disabili come la minoranza della minoranza e anche se ogni singola persona potrebbe diventare disabile, è ancora considerato un tabù. Si stanno facendo dei miglioramenti, però poco alla volta. In modo surreale, saremo prima noi disabili a metterci al passo con la società rispetto a quest’ultima al passo con noi. Però ci sta anche, in un certo senso.
La città più accessibile in cui sei stato fino ad ora?
Ho visitato un po’ l’Europa e devo dire che la città che ho trovato più accessibile, dal punto di vista degli ausili, è stata Londra, ma solo perché erano quelli più nascosti.
Per esempio: il taxi. Inizialmente, vedendolo, non avrei mai pensato di poterci stare dentro, però tiene nascosta una rampa che mi permette di entrare e dentro ci stavo seduto quasi come un normodotato. Quello era figo, hanno preso una cosa che usano tutti e l’hanno resa accessibile ma senza stravolgerla, ed evitando di fare il furgone.
La città più bella anche se meno accessibile è stata Dakar, in Senegal. Ho notato che nei posti più in difficoltà c’è molta più voglia di fare e di aiutare, e nonostante non ci fossero le attrezzature apposite, le persone avevano meno difficoltà ad aiutarti.
Ho visto che avete aperto una pagina facebook per parlare del progetto Freemob, c’è qualcosa a cui state puntando? Un messaggio che volete far passare?
L’idea è nata come ausilio per me prima di tutto, ma anche per lasciare un messaggio: si lotta e si cerca di vivere a Venezia anche come disabile, però con i nostri mezzi.
Posso dire che è un messaggio anche per la città, come dire, una sola persona ha costruito una barca funzionante, diamoci una mossa!
Il progetto ora come ora è chiuso, Francesco è sempre disponibile ad aiutare gli altri, anche condividendo i disegni della barca.
È possibile che il fatto che Venezia è così inaccessibile porti molti studenti con disabilità fisiche e motorie a non studiare qua?
Sì, inizialmente c’erano diversi tipi di rampe, quelle lisce e quelle con il gradino agevolato. Si pensava che il gradino agevolato potesse risparmiare lunghezza della rampa e assistere la carrozzina per evitare lo slittamento, però la realizzazione ha lasciato desiderare. Sono rampe scomode, soprattutto per chi guida carrozzine manuali.
Secondo te c’è abbastanza visibilità in Italia per quanto riguarda l’attivismo di giovani ragazz* con disabilità?
Di giovani non ne conosco. So di un disabile che ha riscontrato abbastanza successo, si chiama Massimiliano Olivieri, non tratta di accessibilità quanto di sessualità, il tabù dentro al tabù. Ho visto una sua conferenza a cui erano presenti molte persone interessate all’argomento e questo mi ha fatto piacere. Devo dirti, non conosco tante persone disabili, quindi non saprei rispondere alla tua domanda.
Ho come l’impressione che ci siano delle tematiche che noi disabili quasi non vogliamo toccare, come ad esempio le relazioni, la sessualità, i rapporti con le altre persone. Cose che pesano tanto a noi quanto agli altri, quindi evitiamo di discuterne. È una cosa molto nascosta fra le persone, magari non se ne rendono neanche conto. Non lo so, questo è il mio pensiero.
Ringrazio di cuore Marco per questa intervista e le mie magnifiche coinquiline Sara e Giulia che mi hanno aiutato e supportato nella realizzazione di questo articolo.