“This is a women’s war, in which we hold human life dear and property cheap, and if one has to be sacrificed for the other, then we say let property be destroyed and human life be preserved.”

Billinghurst in tribunale nel decembre 1912 , quando assunse la sua stessa difesa con il discorso noto come “The Guilt Lies on the Shoulders of the Government (La colpa cade sulle spalle del Governo)

Nata a Lewinsham (Londra), nel 1875, Rosa May Billinghurst ha segnato la storia del femminismo. 

Ancora bambina, viene colpita da una grave poliomelite che la porterà per tutta la vita a spostarsi usando il triciclo o le stampelle. 

Ma i tratti predominanti della sua persona restano il suo forte impegno politico e la costante attenzione alla lotta sociale

Avvicinatasi al movimento femminista mentre viveva in una workhouse di Greenwich dedicata a persone con disabilità, Rosa May fu attiva soprattutto sul fronte della lotta suffragetta per il diritto delle donne al voto, tema caldo di quegli anni. 

Membro della Women’s Liberal Federation e della Women’s Social and Political Union (WSPU) fin dal 1907, trovò nell’associazionismo lo strumento ideale per portare avanti le sue idee.

Quello di Billinghurst è stato un attivismo scomodo, che non ha mai avuto paura di pestare i piedi al potere costituito: un attivismo fatto di gesti rumorosi, di sassate lanciate alle finestre del potere con pietre nascoste nella carrozzina, di marce, di striscioni, di sorellanza, di lunghi periodi di prigione che non hanno mai spento la sua fiamma. 

Un attivismo che si è fatto strada tra la calca e nelle manifestazioni, noncurante degli sguardi e delle critiche

Perché di occhiatacce Rosa May ne riceveva parecchie, e i suoi opponenti hanno spesso cercato di usare la sua disabilità contro di lei; in quella che è poi passata alla storia come la Black Friday march a causa delle numerose violenze contro le protestanti dirette verso la sede del Parlamento nel 18 novembre 1910, la polizia non risparmiò neppure Billinghurst: arrivarono a ribaltarla dal suo trike, lasciandola a terra nella calca. 

Un’altra volta la spinsero in un vicolo e, dopo averle sgonfiato le gomme e rubato le valvole, la abbandonarono lì. 

Ma, sfruttando a suo vantaggio anche la pubblicità non ricercata derivata da questi eventi, nel 1911 ha fondato la sede di Greenwich della WSPU.

Perchè Rosa May in piazza ci è tornata sempre: ha cominciato a mettere le stampelle ai lati del triciclo come protezione (a mò di lancia che sporge dalla testuggine romana) e ha continuato a combattere così. 

Quando fu poi condannata a 8 mesi di prigione per essere stata sospettata di aver dato fuoco a delle cassette delle lettere, Billinghurst non ci stette: diede il via a uno sciopero della fame che la porterà a essere rilasciata in anticipo per motivi di salute e per il quale verrà insignita di una medaglia al Valore.

Nel 1913 si legò alle porte di Buckingham Palace, per mostrarsi agli occhi dell’Inghilterra come martire della causa.

La sua lotta più accesa e dipinta dei colori vivaci del suo carattere risoluto cesserà solo quando, con il Parliament Qualification of Women Act del 1918 il parlamento inglese riconoscerà il diritto al voto alle donne sopra i 21 anni.

Billinghurst morirà nel 1953, lasciando il suo corpo alla scienza, scelta assolutamente inusuale per l’epoca, che prova ancora una volta il suo saper vivere oltre i tempi che le furono assegnati dal destino.

May Billinghurst, nel 1908. Qui sulla sua carrozzina a tre ruote con la quale era solita scagliarsi contro la polizia nelle proteste. Credits: New York Times and London School of Economics Library

May Billinghurst, nel 1908. Qui sulla sua carrozzina a tre ruote con la quale era solita scagliarsi contro la polizia nelle proteste. Credits: New York Times and London School of Economics Library

Marianna

Bolognese d’adozione ma di radici molisane. Sulla carta studio Ingegneria, nella pratica preferisco perdermi nei libri, ho un debole per i classici e la letteratura russa. Ho aderito al Collettivo per scardinare insieme alle mie compagne il tabù che aleggia sulla disabilità e parlarne in maniera costruttiva.

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